Tema svolto = Gli anziani

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +1   -1
     
    .
    Avatar

    Premier user

    Group
    Amministratore
    Posts
    2,041

    Status
    Offline
    1)E' sempre la solita ripetuta affermazione, non per questo meno vera: il progresso tecnologico e materiale delle società "affluenti" non è andato, in tutti i gli ambiti vitali, di pari passo con il progresso morale. Ne è un esempio la condizione degli anziani, che la vita quotidiana dei paesi industrialmente più sviluppati tende a collocare ai margini.
    A mio avviso, il problema degli anziani è il più misconosciuto e il più urgente da risolvere dei giorni nostri, è la violenza più artatamente nascosta dalla nostra società, è lo scheletro nei nostri armadi, la menzogna su cui prosperiamo.

    Succede che un tipo di società che dà valore alla produttività, alla velocità, alla giovinezza, all'efficienza, al consumo vistoso e immediato, all'individualismo competitivo ed esasperato, al cambiamento costante di gusti e opinioni non può che tendere ad escludere, in modi a volte subdoli e sottili, chi non riesce ad adeguarsi ai valori dominanti.

    A parte pochi privilegiati, per reddito, cultura e salute, che occupano un ruolo preminente nella scala sociale, a volte persino eccessivo (occorre guardarsi anche dai pericoli delle gerontocrazie), la maggior parte degli anziani vive una penosa condizione di invisibilità, di mancanza di potere, di emarginazione.

    Gli anziani sono lenti nei movimenti, mal si adattano ai vorticosi cambiamenti del mondo del lavoro e alla filosofia produttivistica delle aziende, hanno perso flessibilità, sono spesso rigidi nelle loro opinioni e atteggiamenti, sono a volte persino portatori di preconcetti difficilmente difendibili, rappresentano valori sconfitti dall'attualità, testimoni noiosi e ripetitivi di un mondo agli albori della tecnologia, spesso minati da penose malattie, insufficienze, incapacità, che ci costringono, tutti, a misurarci con i nostri limiti e la nostra fragile condizione di uomini.

    Ma quello che ancora più addolora è l'esclusione dell'anziano all'interno della famiglia stessa; il vecchio che vive al suo interno è poco adatto ai ritmi convulsi e alla ideologia consumistica, e spesso è d'intralcio alla filosofia del massimo divertimento da realizzare oggi, subito.

    E' un dato di fatto: le generazioni non si parlano più, condividono fra loro sempre meno valori. Noi giovani restiamo indefinitamente figli che tutto chiedono e niente danno, cui tutto è dovuto, senza alcuna gratitudine né compassione per chi ha contribuito alla condizione di cui godiamo.

    Non deve stupire se gli anziani vengono fiduciosamente affidati a quei moderni "lager" che sono talvolta (spesso?) gli ospizi, le case di riposo, spesso terrificanti già nell'architettura finto razionalista, istituzionalizzati, dimenticati, sopraffatti da organizzazioni indifferenti, avide e violente, senza diritti, abbandonati consapevolmente persino dallo Stato che infatti non esercita quasi mai il suo potere di controllo.
    Oppure quelli che possono, vivono da soli in modesti locali, semiabbandonati da figli e parenti alla loro sorte, e tutti i giorni si legge sul giornale di un anziano che viene trovato morto dopo giorni, già in stato di decomposizione. Una morte senza aiuto e senza conforto, solitaria, come la loro condizione.

    Rimedi definitivi, ricette infallibili e miracolose forse non ce ne sono. L'uomo deve misurarsi, dicono i buddisti, con tre condizioni pressoché invincibili: malattia, vecchiaia e morte.
    Ma detto questo, anzi proprio a causa di questo, molte cose rimangono da fare per migliorare la condizione dei vecchi, per ridare maggiore dignità alle loro esistenze, per lottare contro la disumanizzazione oggi prevalente. Intanto, proprio il destino umano comune, deve spingere i sani e gli attivi all'impegno della solidarietà. Dobbiamo riconoscere nell'altro ammalato, bisognoso, solo, vecchio la parte rimossa di noi stessi, quella che l'ossessivo attivismo quotidiano tende a tenerci celata.

    Inoltre bisogna migliorare e personalizzare l'offerta di servizi e opportunità, bisogna razionalizzare gli interventi socio-sanitari, smettendola però di ridurre al lumicino le già insufficienti risorse destinate all'assistenza e alla sanità.
    Occorre modificare le nostre concezioni urbanistiche e architettoniche, per rendere le città, le tipologie abitative, le case più conformi alle necessità della popolazione anziana: penoso è per esempio vedere oggi un vecchio attraversare la strada, o coabitare in famiglia in spazi abitativi insufficienti, che finiscono per rendere difficile a tutti la convivenza.

    Occorrono pensioni più adeguate, che permettano agli anziani una più sicura autonomia economica, bisogna incentivare e premiare concretamente, economicamente chi si prende cura dei vecchi. Bisogna ripensare soprattutto la nostra organizzazione di vita occidentale, la nostra filosofia falsamente vincente, quando l'automazione tende sempre più a liberarci dal tempo di lavoro e quando questo tempo potrebbe essere proficuamente impiegato nel migliorare la qualità della vita dei soggetti più deboli e bisognosi.




    2)Credo che parlare di anziani susciti in molti giovani una reazione di rigetto. Più di tanto l'argomento non riesce a coinvolgere. Anche da parte mia esiste una notevole difficoltà a identificarmi con loro, a capire la loro psicologia.
    Ciò dipende dalla frattura generazionale e dalla negazione della vecchiaia, molto diffusa nella nostra società.
    I valori dell'anziano appartengono a un'altra epoca, spesso sono ancora i valori di una società preindustriale, estranea al modo di sentire degli adolescenti di oggi.
    Mi viene in mente, ad esempio, l'atteggiamento nei confronti dell'autorità, mutato nel giro di poche generazioni, dalla sottomissione all'antiautoritarismo.
    Il meccanismo della negazione agisce invece attraverso altre modalità. La società contemporanea privilegia la produzione e il consumo e di conseguenza la vita attiva, il successo. L'anziano, emarginato spesso precocemente dal processo produttivo, sul quale egli stesso fondava la propria identità, perde la stima degli altri e di riflesso la propria.
    Il suo destino sembra essere l'isolamento, la solitudine, la mancanza di rapporti personali significativi.

    Ciò incide sulle sue condizioni fisiche e psichiche. Frequenti sono le sindromi "psicopatologiche" in questa età; la vita può essere avvertita sovente come priva di significato. Numerosi i tentativi di suicidio, per richiamare su di sé l'attenzione; purtroppo ancora più numerosi i suicidi "riusciti".

    La mancanza di cultura e lo scarso reddito impediscono a molti anziani di usufruire del proprio tempo libero in termini gratificanti. Le passeggiate e la televisione finiscono per costituire gli unici svaghi che i vecchi possono permettersi. La sessualità degli anziani è ancora un argomento tabù, che suscita la riprovazione sociale; la diminuzione di efficienza in alcuni compiti, i deficit sensoriali di vista e udito vengono sottolineati negativamente da una società in cui vige l'etica della prestazione.

    Se l'estromissione dal mondo del lavoro comporta ripercussioni più pesanti per il vecchio di sesso maschile, per le donne la vecchiaia pone nuovi problemi. Succede che i figli, a una certa età, escano di casa formandosi una famiglia propria. Ciò comporta ancora per molte donne la perdita di una ragione di vita: identificatasi per tanti anni nel ruolo di madre, la donna deve cercare altre ragioni e altri interessi.
    La menopausa comporta nuovi problemi: può finalmente permettere alla donna di vivere più liberamente la propria sessualità, ma più spesso determina una crisi personale, per l'impossibilità di divenire ancora madre e per la percezione di una progressiva riduzione dell'avvenenza fisica, in cui è difficile stabilire quanto giochi il fattore biologico e quanto quello culturale.
    È certo però che questi avvenimenti possono determinare nella donna una riduzione dell'autostima.

    Quando la sua condizione si accompagna alla malattia, l'anziano finisce col costituire un intralcio alla vita caotica, "attiva" dei sani, divisa tra il lavoro e un tempo libero, consacrato al consumo e all'esibizione degli status-symbol.

    L'anziano malato è allora destinato a diventare ospite di quelle strutture-ghetto, che la società riserva a chi vive fuori dai valori dominanti.
    Tutto sommato, l'ospedale non è l'istituzione più emarginante, fra quelle previste per l'anziano.
    Tuttavia la logica paraindustriale e aziendale della organizzazione ospedaliera, nonché il tecnicismo e l'impersonalità degli interventi, fanno dell'ospedalizzazione un momento di crisi e di violenza per il malato.

    Si dice che l'anziano sia particolarmente ansioso per la propria salute. L'ansia centrata sul corpo è in realtà espressione di un'insicurezza più diffusa, legata a una condizione esistenziale precaria.
    In ospedale l'anziano può risultare particolarmente noioso. Le modalità di reazione alla malattia sono quelle descritte nei manuali di psicologia medica: regressione, negazione, isolamento, formazione reattiva.
    Tutto sembra dipendere dalla struttura individuale della personalità e dalle situazioni specifiche del momento.

    In questi casi si deve comprendere che se l'anziano si comporta infantilmente, si lamenta dell'assistenza o del cibo, nega di aver bisogno di cure, diventa aggressivo, ciò deriva non tanto dal fatto che sia cattivo o deteriorato, quanto da una difficoltà, da cui si difende come può.
    Ciò non significa che in alcuni frangenti non sia utile aggredire, almeno superficialmente tali difese; tuttavia la capacità di operatori e familiari di capire la reazione dell'anziano ammalato, può già stemperare parecchio la frustrazione di subire risposte incongruenti.

    La conclusione della vita riguarda ciascuno di noi e il vecchio in modo particolare. Morte e vecchiaia, un tempo non necessariamente correlate, perché epidemie, carestie e guerre mietevano vittime ancora in giovane età, costituiscono oggi un binomio inscindibile.
    E come già per la vecchiaia, anche nei confronti della morte la società occidentale reagisce con la rimozione. La morte contraddice i miti di felicità e successo dell'uomo contemporaneo. Egli ne prende le distanze, la privatizza, la isola dietro un paravento, in un solitario letto d'ospedale.

    A parte artisti e scrittori, pochi studiosi si sono occupati del tema della morte, un vero tabù culturale dei nostri giorni. Tra questi la più importante è Elisabeth Kübler-Ross. La psichiatra di origine svizzera, ma americana di adozione riconosce almeno quattro fasi nella reazione dell'uomo di fronte alla morte: la negazione, la rabbia, la depressione e l'accettazione.
    Purtroppo accompagnare una persona nell'affrontare la morte non è consuetudine dei nostri ospedali. L'enfasi è posta sulla tecnica, in sé buona, che però in questo caso maschera, attraverso la negazione della morte dell'altro, la negazione della propria.

    Penso non sia facile, soprattutto nelle situazioni concrete, spesso così difficili da rapportare a un modello teorico, assistere un uomo che muore. L'assistenza completa alla persona morente è una realtà in divenire, verso cui la società e la scienza sembrano essersi sensibilizzati negli ultimi anni, con la creazione, ad esempio degli hospice. Certamente molto lavoro organizzativo e culturale rimane ancora da fare.

    È tempo, a mio avviso, che in campo sanitario l'egemonia del modello scientifico, tecnologico, sperimentale si attenui per lasciar spazio a un'idea di assistenza sanitaria globale e multidisciplinare. Soltanto così potremo affrontare il progressivo invecchiamento della popolazione e i problemi sanitari connessi. E solo così potremo prenderci cura dell'anziano, nel pieno rispetto di tutte le dimensioni della sua personalità.

     
    Top
    .
0 replies since 16/1/2011, 01:44   1617 views
  Share  
.
Top