Tema svolto: Globalizzazione

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    Eccovi alcuni temi svolti riguardo il tema della GLOBALIZZAZIONE

    La globalizzazione è nata con lo straordinario sviluppo dei trasporti, delle comunicazioni e delle telematiche che hanno reso il pianeta sempre più interdipendente. Con questo termine non si vuole indicare solo l’enorme crescita dei trasporti, ma indica la dimensione planetaria che tutti gli aspetti della realtà hanno assunto nel senso che non vi è più nessun problema la cui risoluzione non implica l’intervento di ciascuno Stato. Gli Stati vanno man mano perdendo influenza sulla loro economia, infatti, i capitali finanziari non hanno più confini nazionali. Infatti, se in passato il crollo di una borsa aveva ripercussioni su paesi lontani dopo mesi, oggi si hanno all’istante. Lo sviluppo delle moderne tecnologie ha permesso la nascita della globalizzazione e le multinazionali stabiliscono le condizioni. In passato gli scambi commerciali avvenivano tra diversi settori economici, oggi invece il commercio avviene all’interno di singoli settori o anche tra filiali della stessa impresa dislocate in più paesi la motivazione perciò le fasi di produzioni o servizi sono collocati all’estero è dovuto al fatto che si ha un rapporto più favorevole tra specializzazione e costo del lavoro. Ad esempio in India c’è il centro di elaborazione dati di tutte le compagnie aeree mondiali dove è impiagato un personale molto specializzato ma retribuito con salari molto più bassi rispetto al resto del mondo. I lavoratori dei paesi sviluppati percepiscono uno stipendio migliore e rispetto a quello dei paesi in via di sviluppo e per questo motivo questi ultimi si trovano in una posizione concorrenziale rispetto ai lavoratori dei paesi ricchi questa concorrenza ha messo in crisi il potere contrattuale e le sue strategie cioè se da un lato le politiche sociali elevano il tenore di vita dei lavoratori dall’altra aumentano il costo del lavoro provocando un’emigrazione verso quei paesi dove tutto cìò è del tutto assente. Uno dei risvolti più penosi di questa concorrenza internazionale per l’occupazione è quello del lavoro minorile, che viene vietato e punito per legge nei paesi sviluppati ma praticato in quelli arretrati, in qui non solo le leggi ma anche la coscienza comune accettano questa prassi come del tutto normale. Infatti, nel terzo mondo vi è un altissimo numero di bambini schiavi che svolgono lavori faticosi e spessi pericolosi per orari interminabili percependo un salario esiguo anche rispetto a quelli gia bassi dei loro connazionali adulti. Solo grazie ad un’intensa campagnia di sensibilizzazione dell’opinione pubblica occidentale, alcune grandi imprese s’impegnano a non impiegare manodopera infantile. Un altro importante segnale dell’avvenuta globalizzazione e quello dei flussi migratori. L’entità delle migrazioni non è quantificabile per via clandestinità. Una parte dell’opinione pubblica ritiene che le persone immigrate rappresentano una minaccia perché può aumentare la criminalità. Altri ritengono leintegrazione può essere portatrice di nuovi valori, vitali e culturali e che la presenza di una forza di lavoro straniera può svolgere quelle mansioni che i giovani cresciuti nella società del benessere rifiutano. Il fenomeno della globalizzazione non ho lasciato indifferente nemmeno il campo alimentare. Infatti si stanno diffondendo sempre di più le abitudini alimentari tipiche americane attraverso la diffusione dei cosiddetti Mcdonald dove si consumano cibi che non rispettano una sana ed equilibrata alimentazione.

    Mario De Martino









    È un fenomeno reale e recente che riguarda la progressiva apertura dei mercati nazionali all'estero dando così origine ad un mercato globale che varca i confini nazionali e che condiziona pesantemente con il suo andamento le singole economie nazionali (vi siete mai chiesti perché se cadono le borse asiatiche anche a Milano ne risentono?). La parola deriva dalla fusione di due termini distinti integrazione ed economia globale. Essa denota quindi quel processo tramite il quale aumentano e si intensificano i rapporti di ciascuna nazione nei confronti di molte altre. Quindi non significa come molti credono mondo senza confini, senza frontiere nazionali né mercato unico mondiale. Per molti secoli la competizione economica tra gli stati si è facilmente tramutata in conflitto militare. Nel secondo dopoguerra invece le tendenze all'avvicinamento dei mercati si sono accentuate al punto tale che a partire dagli anni 80 si è cominciato a parlare di globalizzazione. L'industrializzazione ha imposto l'apertura degli scambi e ha dato avvio alla mobilità territoriale di persone e tecnologie destinata a divenire sempre più intensa. Il contributo più grande è avvenuto con la rivoluzione informatica e soprattutto dalla possibilità di integrare i sistemi informatici con quelli delle telecomunicazioni. Oggi è possibile inviare in ogni parte del mondo un numero infinito di informazioni, grazie alla rete telematica internet. Questa possibilità di collegare in pochi secondi luoghi distanti migliaia di chilometri ha finito per condizionare anche sistemi di produzione e di commercializzazione in quanto viene eliminato il contatto diretto fra produttore e consumatore, permette alle imprese di avere sedi anche in paesi diversi pur non perdendo mai di vista il loro operato mantenendosi in collegamento con le loro varie filiali. L'opportunità di accedere ai mercati mondiali fa mutare anche lo spirito concorrenziale delle imprese che non si trovano più a competere soltanto con quelle dello stesso territorio. La globalizzazione ha l'effetto più importante nella finanza mondiale e possibile infatti grazie alle reti telematiche spostare capitali, acquistare titoli o venderli o effettuare qualsiasi azione speculativa digitando pochi tasti.
    Purtroppo la globalizzazione non ha portato solo riscontri positivi all'interno delle nostre società. La globalizzazione ha portato gli stati più ricchi ad arricchirsi sempre di più a discapito di chi povero lo è ancora e lo sta diventando maggiormente (o meglio, i soldi finiscono nelle mani dei pochi ricchi che gestiscono il commercio di materie prime con l'occidente dei paesi in via di sviluppo). La globalizzazione non ha effetti infatti solo nella commercializzazione ma anche nel campo del lavoro: per molte imprese occidentali il trasferimento di molti stabilimenti produttivi in regioni asiatiche in modo tale da poter sfruttare la forza lavoro meno costosa. La globalizzazione ha dato tanto e ha migliorato tanto ma ci ha portato ad essere tutti uguali. Al di là delle singole manifestazioni c'è da dire che questo fenomeno condiziona ogni contesto della vita quotidiana: una stessa bevanda viene consumata a New York come a Pechino, uno stesso zainetto viene utilizzato a Milano come Singapore; uno stesso paio di scarpe viene venduto a Sidney come a Bankok. E lo stesso fenomeno e riscontrabile anche per la cosi detta fabbrica cultura le quella che si occupa della vendita di programmi televisivi cosi vengono veicolati non solo le conoscenze ma anche le mode i fenomeni sociali e anche le credenze religiose. Tutto questo ha portato alla nascita di un "villaggio globale" all'interno del quale le diverse società fino a ieri distinte per culture, tradizioni, credo e mode diverse vengono accomunate .Per non dimenticarci poi di un problema che sta facendo discutere: i reati globali. Lo straordinario sviluppo tecnologico del cyperspazio e la globalizzazione hanno indotto a parlare di un globalismo giuridico. Quest'ultimo dovrebbe contrastare la frammentazione della sovranità dei singoli stati incapaci di disciplinare attività che si svolgono fuori dai loro confini e fra l'altro colpire le attività illecite che una globalizzazione senza norme favorisce e alimenta. Nessuna giurisdizione statale è in grado di affrontarla. Il governo della legge che ha caratterizzato le democrazie liberali da solo non è più sufficiente. Esso ha infatti confini limitato ai singoli stati. Il principio della territorialità che è alla base del diritto è messo in crisi proprio dalla globalizzazione economica che rimane pericolosamente senza disciplina. Si stanno tentando di trovare delle soluzioni per tutelare gli stati più poveri dalla sovranità degli stati più forti.












    Viviamo in un mondo in cui l'economia agisce a livello planetario. La chiamano globalizzazione.
    Se si tratti di un fenomeno nuovo e quali siano le sue precise caratteristiche, restano questioni aperte.

    Di fatto, le economie mondiali sembrano interconnesse, i mercati borsistici strettamente collegati, le aziende, non solo quelle multinazionali, ma anche le medie e le piccole aziende, sono in grado di dislocare la produzione fuori dai confini nazionali, laddove è più conveniente.
    Tutto il mondo, almeno i paesi occidentali, ma anche gran parte degli altri paesi sparsi nei cinque continenti, consuma gli stessi prodotti, vede gli stessi film, legge i medesimi romanzi, beve Coca-Cola e pasteggia da Mc-Donald's, sfoglia giornali assemblati tecnicamente e ideologicamente allo stesso modo, si connette alla Grande Rete mondiale, Internet.
    Tutto è strettamente collegato, per cui si può tranquillamente dire che un battito d'ali di farfalla a New York produce conseguenze concrete e spesso imprevedibili in tutto il mondo. Sì, perché sono gli Stati Uniti la realtà guida, egemone, della globalizzazione. Il modello da imitare universalmente
    Gli stati nazionali sembrano ormai segnare il passo, realtà obsolete, ferrivecchi inidonei a garantire la libera e veloce circolazione di beni, servizi, idee, fautori di potenziali pericolosi sciovinismi, capaci di minare la pace, quella pace così necessaria all'intero ciclo economico, la pace così cara ai mercanti di ogni tempo.
    Persino i gloriosi stati europei, ricchi di una forte identità storica, hanno recentemente portato a termine un'unione che non è soltanto economica, bensì politica e amministrativa.

    Ma la globalizzazione, dunque, è un bene o un male? Rappresenta la promessa di maggiore libertà e benessere per i cittadini di tutto il mondo, o costituisce un pericolo, perché favorisce l'omogeneizzazione culturale, l'omologazione consumista, la fine delle particolarità culturali, dell'identità dei popoli e della ricchezza delle tradizioni locali?

    I critici della globalizzazione sostengono che si tratta di un concetto inventato dal potere economico, propagandato e venduto come un dentifricio, per contrabbandare un nuovo e più feroce colonialismo, il dominio incontrastato delle multinazionali, l'oppressione "scientifica" dei poveri del mondo e persino delle classi medie della società affluente.
    Movimenti, non sempre omogenei ideologicamente e culturalmente, sono balzati all'attenzione della cronaca per la violenta contestazione del nuovo ordine mondiale. Alcune città, fra cui Genova, sono state letteralmente messe a ferro e fuoco dalla furia devastatrice dei cosiddetti black-block.
    Alcuni intellettuali stanno mettendo in dubbio, nei loro libri, l'utilità e i benefici della globalizzazione.
    L'orribile attacco dell'11 settembre alle Twin Towers è stato letto come un tentativo di dare una spallata alla globalizzazione.

    Le informazioni di cui dispone il cittadino comune, il fantomatico "uomo della strada", per farsi un'idea attendibile del fenomeno sono caotiche e contraddittorie.
    E forse non può essere che così.
    La globalizzazione è ancora un fenomeno troppo nuovo, un'escrescenza dell'attualità, non un fatto storico decantato e ben analizzato, sul quale stilare giudizi e riflessioni attendibili e meditati.
    La globalizzazione la stiamo vivendo, ma non comprendendo appieno.

    L'idea che me ne sono fatta io, è che non è tutto oro quello che luce.
    Il divario fra ricchi e poveri si sta ampliando e questo non è bene.
    Ampi strati della popolazione, persino nel ricco Occidente, conducono una vita sempre più precaria, alla mercé della variabilità del mercato.
    In queste condizioni si impedisce però alle persone di sperare, di progettare il futuro, per sé e per i propri figli.
    L'insicurezza e l'incertezza totale, elevate a sistema di vita possono portare alla disgregazione individuale, familiare, sociale.
    Non si può pretendere da un individuo che cambi lavoro una decina di volte nell'arco della vita, come qualcuno fanaticamente va ipotizzando.
    La flessibilità delle persone non è illimitata.

    E' altresì vero che la pletora di beni e servizi, che ci vengono quotidianamente offerti a prezzi più convenienti è un beneficio e che la globalizzazione rappresenta probabilmente un processo irreversibile di modernizzazione, il compimento di un cammino culturale che ha visto sempre più filosofi e intellettuali pensare in modo "globale", "totale", "universale" (le grandi religioni, in primo luogo quella cristiana, l'illuminismo, il marxismo...).
    La globalizzazione potrebbe essere, dunque, una categoria insita nel modo di pensare occidentale.
    Si tratta di trovare correttivi, equilibri. L'economia deve rimanere un mezzo. Il fine è l'uomo.
    Bisogna evitare assolutamente che una nuova utopia progressiva si trasformi nell'ennesimo inferno sulla terra.









    Globalizzazione è la parola che circola con insistenza sulla bocca di tutti e suscita l'inquietudine che provoca i cambiamenti profondi e inevitabili. Per la prima volta nella storia, l'economia di mercato ha assunto dimensioni mondiali, sospinta dalla rivoluzione nelle tecniche della produzione, della comunicazione e dell'informazione. Con un ritmo sempre più rapido il mondo tende irresistibilmente all'unità.
    La globalizzazione non è sospinta solo da incentivi economici, ma anche e soprattutto da una forza storica irresistibile, più forte della volontà di qualsiasi Governo e di qualsiasi partito: la forza che si sprigiona dall'evoluzione del modo di produrre. Essa impone a tutti i settori della vita sociale una dimensione più ampia di quella degli Stati sovrani, anche i più grandi. Non è un caso che gli Stati Uniti ricerchino nella NAFTA la dimensione di mercato adatta a competere con i grandi spazi economici che si stanno organizzando nel resto del mondo. Si tratta di un processo di cambiamento che si può accelerare o ritardare, ma non accettare o respingere.
    Il sistema mondiale degli Stati rappresenta il quadro politico che assicura l'ordine internazionale necessario allo svolgimento di quel processo, che però non procede in modo rettilineo, ma si sviluppa ad ondate. Quest'andamento del processo è il riflesso delle condizioni politiche che lo rendono possibile e possono favorirlo od ostacolarlo.
    La fine del sistema europeo degli Stati nel 1945 e la fine del sistema mondiale bipolare nel 1989 rappresentano due tappe cruciali del processo di globalizzazione. La Seconda guerra mondiale, determinando la sconfitta della Germania, la perdita dell'indipendenza degli Stati nazionali e la formazione del sistema mondiale degli Stati, ha spazzato via il sistema europeo, che intralciava il libero sviluppo dei rapporti di produzione e di scambio al di là dei confini tra gli Stati. Il crollo dei regimi comunisti nell'Unione Sovietica e in Europa, ha fatto cadere i residui ostacoli politici e ideologici che si opponevano alla piena affermazione dell'economia di mercato sul piano mondiale. La fine dell'ordine mondiale bipolare e della guerra fredda e la conseguente convergenza delle ragioni di Stato delle più grandi potenze che reggono le sorti del mondo hanno rimosso le barriere politiche che impedivano il pieno dispiegarsi della mondializzazione.
    La globalizzazione, travolgendo tutte le barriere che intralciano la formazione di un unico mercato mondiale, aumenta il volume del commercio mondiale e produce nuove possibilità di benessere e d'espansione dei consumi. Nello stesso tempo, le forze internazionali del mercato sfuggono al controllo degli Stati, i cui strumenti monetari e fiscali di regolazione dell'economia hanno perso progressivamente la loro efficacia. Così le grandi concentrazioni produttive e finanziarie multinazionali sono in grado di eludere il controllo di qualsiasi Stato. In definitiva, la globalizzazione ha scavato un fossato sempre più profondo tra lo Stato, rimasto nazionale, e il mercato, diventato mondiale.
    La conseguenza più grave di questa situazione è il declino della democrazia. La più acuta contraddizione della nostra epoca risiede nel fatto che i problemi dai quali dipende il destino dei popoli, come il controllo della sicurezza e dell'economia o la protezione dell'ambiente, hanno assunto dimensioni internazionali, un terreno dove non esistono istituzioni democratiche, mentre la democrazia si ferma tuttora ai confini degli Stati, entro i quali si decide ormai su aspetti secondari della vita politica. Così, il controllo delle questioni determinanti per l'avvenire dei popoli, sfuggito alle istituzioni democratiche, sta saldamente nelle mani delle grandi potenze e delle gigantesche concentrazioni capitalistiche multinazionali.
    Che fare? Non possiamo certamente aspettarci dalla mano invisibile del mercato mondiale la realizzazione di valori collettivi, come la piena occupazione, l'aiuto allo sviluppo dei paesi più arretrati o la protezione dell'ambiente, tanto meno la democrazia internazionale. In assenza d'efficaci istituzioni politiche mondiali, la crescita dell'interdipendenza è destinata a risolversi in un'accentuazione delle disuguaglianze e nella crescita del disordine e dei conflitti internazionali.
    Nemmeno è da prendere in considerazione la ricetta, che pure taluni suggeriscono, del protezionismo. Sarebbe un tentativo reazionario (ma anche velleitario e quindi destinato alla sconfitta) di fermare la spinta poderosa delle forze produttive che tende ad unificare il genere umano, divenuto ormai un'unità di destino. La sfida, cui le forze del progresso non possono sfuggire, consiste nel saper dimostrare di essere capaci di governare il processo di globalizzazione. Ciò esige che si risolva innanzi tutto un problema di natura istituzionale, l'organizzazione d'istituzioni democratiche sul piano mondiale. Mentre l'obiettivo di un Governo mondiale appare ancora lontano, si moltiplicano le riunioni internazionali e si estende il fenomeno dell'organizzazione internazionale, che sono espressione dell'esigenza dei Governi di controllare l'economia globale. Un'esigenza che però non può essere soddisfatta con le procedure di decisione basate sui principi dell'unanimità e del veto, che sono adottate in questi consessi.
    L'Unione europea, per quanto sia un esperimento incompiuto, si configura già come un nuovo modello di controllo dell'economia internazionale, mentre il prevedibile rafforzamento della sua influenza internazionale la spingerà a divenire il potenziale motore dell'unificazione del mondo. In effetti, l'Unione economica e monetaria può essere considerata come la risposta europea alla sfida della globalizzazione sotto tre profili.
    In primo luogo, essa rappresenta il tentativo di superare la dimensione nazionale del mercato, allo scopo di creare le condizioni per competere con i grandi spazi economici sul terreno della tecnologia di avanguardia, sottoponendo la dinamica del mercato europeo al controllo di istituzioni che per il momento sono solo parzialmente democratiche a causa del prevalere del loro carattere intergovernativo. In secondo luogo, anche se le istituzioni europee non sono sufficienti a controllare il mercato mondiale, l'Unione europea, che è la prima potenza commerciale del mondo, ha un interesse vitale a mantenere aperto il mercato mondiale e a rafforzare le istituzioni mondiali che consentono di perseguire questa finalità. È questa la motivazione fondamentale che ha spinto l'Unione europea a promuovere, contro le resistenze opposte dagli Stati Uniti, la costituzione dell'Organizzazione mondiale del commercio, che è espressione della necessità di dare nuove regole del gioco alla competizione globale e di farle rispettare a tutti. In terzo luogo, se si considera il suo potenziale sviluppo in senso federale, l'Unione economica e monetaria rappresenta il modello istituzionale necessario a regolare il mercato mondiale e indica la linea lungo la quale si dovranno sviluppare le istituzioni economiche mondiali. In definitiva, il processo costituente europeo, cioè il processo che porterà alla creazione della Federazione europea, offre un modello che indica la via da percorrere per restituire alla politica il potere di governare il processo di globalizzazione dell'economia.
     
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